Un borgo incantato in città
Le Cure
“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Tratto da: La luna e i falò. Cesare Pavese, 1950
Le Cure, la sua Piazza delle Cure, il mercato coperto e l’intero quartiere, profondamente modificati in tempi recenti, tra la prima e la seconda guerra mondiale, sono stati emblematici delle trasformazioni sociali, urbanistiche, estetiche, industriali e tecnologiche subite dall’intero nostro Paese in quel periodo.
Sfogliando il libro autobiografico di Bruno Cicognani, “L’Età favolosa”, nell’edizione Vallecchi del 1916, si legge nel capitolo II, intitolato “ Nel quale si descrivono poeticamente Le Cure”, alle pagine 207-208: “ Dalle gioconde opere delle Curandaie ( lavandaie) venne certamente questo nome alla Cure… Un grande sciacquio di tele lungo le rive del San Gervasio, fino al suo confluire nel Mugnone. Il San Gervasio è coperto fin da dove nasce, è invisibile tutto; ci han costruito sopra, ma già prima che lo intombassero così, era pressoché asciutto…”
Ma il quartiere delle Cure, fortunatamente non modificato nelle sue varie zone anche in salita verso la collina di Fiesole, si estendeva fino al Ponte Rosso e al giardino dell’Orticultura, attraversato dal Mugnone e i suoi ponticini, ornato da una parentesi verde che fiancheggia il suo corso animato da enormi sassi popolati da rane gracidanti, il verde dalle mille tonalità abitato da famiglie di uccelli rari, una natura rigogliosa e incontaminata, che costituiva per i ragazzi dell’epoca la fuga dalla città, immergersi nella campagna, la scoperta delle stradine strette tra i muri verso Fiesole e San Domenico, una nascente libertà di movimento e di azione.
Oggi Le Cure sono un borgo antico e ancora sono visibili nei suoi edifici, ville signorili trasformate in piccoli condomini, i segni del glorioso passato luogo di residenza di nobili casate. Qui ci si conosce, ci si saluta, ci chiediamo informazioni su botteghe e fornitori, il borgo oggi ha un’anima multiculturale, non è, infatti, racchiusa nell’abitato ed è punteggiata dalle terrazze fiorite, dal trionfo dei cancelli pieni di glicini a primavera con il meraviglioso manto dalle diverse sfumature di viola, è tra gli spettacoli che la natura che può regalare a coloro che ne percorrono le strade e i sentieri.
Oggi tra botteghe di artigiani, mestieri antichi, il punto clou dell’intero quartiere è il mercato coperto de Le Cure, progetto di riqualificazione del mercato rionale di piazza delle Cure che diventa un modello per le piazze fiorentine che ospitano i mercati. La costruzione avveniristica, progettata dall’Arch. Andrea Parigi, trova le sue dimensioni nel riferirsi alla “dimensione aurea” di Leonardo da Vinci. Il cuore pulsante de Le Cure rivela la sua essenza nel suggestivo mercato coperto, che è il centro di un labirinto di strade, case eleganti e giardini che rapiscono l’anima di chiunque percorra ogni strada, un racconto silenzioso di epoche passate che si intrecciano con la vita contemporanea.
Banchi e gente del mercato coperto ricordano l’allegria profonda dei mercati dipinti da Renato Guttuso, una Vucceria più moderna, un armonia di colori, frutta e verdura appena colta che non conoscono il frigo, la pescheria, la polleria, la Pizzicheria de Le Cure, il magnifico punto che ricorda il mitico Calderai di un tempo, di Susanna e la sua famiglia, una gentile e bella signora amante delle vere eccellenze culinarie, dal pane cotto a legna di San Godenzo, dai formaggi francesi e dell’Alta Langa, la Zizzona, il ramato di capra, l’olio di Cercina, le acciughe di Cetona, tutto un paniere di prodotti pregiati che occhieggiano dalla sua vetrina come il Baccalà alla Livornese, ricavato da grandi farfalle di baccalà, essiccato al sole su pali di legno, delicato, di consistenza morbida e dissalato, passaggi che danno vita a un prodotto più delicato dal sapore non distante da quello del pesce fresco, con l’aggiunta di quello straordinario sapore di salagione che distingue il vero baccalà.
Fabrizio Benvenuti e i suoi figli che hanno trasformato la passione del buon cibo in un’arte, il grande banco situato nel centro del mercato coperto, dunque una posizione strategica che consente una selezione accurata, con una particolare attenzione alla materia prima e alle sue stagionalità. La proposta dei primi porcini, i primi pisellini Primavera e i primi baccelli che loro sgranano, e li propongono già sgranati da abbinare al pecorino toscano, il primo olio di Cercina, i carciofi che sembrano fiori nelle loro tante dimensioni e colori, frutta e verdura preziosa sulle nostre tavole nel rispetto della natura e della tradizione culinaria italiana.
Questa zona di Firenze è una favola bella, rarissimo e unico è l’attuale biosistema del Mugnone, un piccolo fiume, un torrentello oggi fotografato dal fotografo dilettante che ci vive, il Dottor Fabio Cilona, fatta da famiglie di uccelli rari in riproduzione, gracidio di rane, la danza nel cielo di centinaia di stormi di storni, il lento mormorio del Mugnone che scorre, inesorabile, punteggiato da alberi e piante secolari, quella di questo borgo “antico” appartiene a una Firenze lontana, ormai preda di un turismo di massa che ci porta solo sporco e disordine, un fenomeno ormai amaro che viviamo noi fiorentini.
Il turismo è l’industria più importante di questo secolo, perché muove persone e capitali, impone infrastrutture, sconvolge e ridisegna l’architettura e la topografia delle città, come i centri storici trasformati in luna park.
ll turismo di massa non è solo un fenomeno economico, ma il motore di una crisi demografica e culturale che consuma lentamente il cuore stesso delle città. Una riconversione urbana che uccide, dietro il cui apparente bagliore si nasconde una realtà più cupa: l’esodo dei residenti, il vertiginoso aumento degli affitti, e i centri storici ridotti a decorazioni inanimate.
Al posto delle voci dei bambini che giocano nelle piazze, rimane solo il rumore dei trolley che sfrecciano sui sampietrini, simbolo di un turismo che consuma senza mai fermarsi, che si siede solo sulle scalinate delle chiese e dei monumenti storici nelle piazze.
E vengono in mente le parole di Eric J. Leed… «noi non possiamo sfuggire a quella civiltà globale che è stata creata da generazioni di viaggiatori, esploratori, signore e signori dalla curiosità elegante, mercanti e migratori. Nasce dal viaggiare, da generazioni di viaggi quella cultura globale che è saldata da sistemi internazionali di trasporti, produzione, distribuzione, comunicazione, distruzione. Il viaggio, diventato turistico, è ormai come il misurar la cella del detenuto che cammina su e giù dove altri prigionieri altrettanto mobili e liberi hanno già lasciato un solco. Quel che una volta ci permetteva di trovare la nostra libertà, ora serve a rivelare i nostri ceppi.»
E vivendo in questo “borgo antico” ci anima la speranza che si faccia spazio ad un nuovo modo di viaggiare, in realtà il più antico: imparando dal viaggio stesso, esplorando i legami tra luoghi e persone.
Un grazie di cuore a Fabio Cilona, grande fotografo dilettante che ci “racconta” con le sue foto l’importante biosistema del Mugnone.
Writer: Cristina Vannuzzi